SERENA D'ARBELA HA PUBBLICATO:


lunedì 2 novembre 2009

SIETE PROPRIO VERI?

Dalla presentazione del libro a Roma, Casa delle culture-aprile 2001 VALENTINO ZEICHEN : " MA SIETE PROPRIO VOI ? "

Stimo che nella tradizione letteraria italiana del secondo Novecento vi sono stati e continuano ad esserci molti scrittori sperimentali, appassionati agli equilibrismi linguistici e ai giochi formali e pertanto diffidenti verso i "contenuti" sentiti come trappole neorealiste e ritenuti dei veri e propri accidenti o attentati all'eleganza dello stile. Questo orientamento algido e snobistico è uno dei più coltivati e diffusi nella nostra attuale narrativa, anche se mascherato da alti valori formalistici.
Ben venga quindi una nuova letteratura della memoria che non sia timida verso i contenuti e non si balocchi nei soli giochi linguistici. Così accogliamo con entusiasmo questo romanzo di Serena D'Arbela, nella cui narrativa si coniuga l'impegno etico/estetico, la memoria in senso proustiano e la storia che oggettivizza gli eventi. La sua tastiera lessicale sa raccordare i sentimenti con i fatti, creando brillanti pagine di spartito narrativo.
Il capitolo iniziale del suo romanzo ci sorprende subito con un'intuizione folgorante di strategia romanzesca: assistiamo a una lezione di endoscopia gastrica.
"Colon è il regno del muco..." .La lunga dissertazione sulle nostre interiora si propaga nell'aura della scrittura. Non sappiamo da quale aula magma,forse ospedale, ci giunga questa voce filosofica, ma intuiamo che l'identità del docente è ascrivibile al medico, padre delle gemelle. Ma delle due è Armenia, l'alter-ego della protagonista che dialoga col fantasma del padre, evocato lungo tutto il percorso del romanzo risultando una figura struggente.
E' a causa di un artificio della circolarità che questa lezione iniziale ritorna in sorprendenti flash anche verso la fine del romanzo,configurando un simbolo della vita, rappresentato come un intestino/destino, che nelle sue serpentine sembra racchiudere il passato e il divenire, dove anche i verbi smarriscono i loro tempi.
Venezia traspare dalle lenti della scrittura, riflessa nell'acqua, satura di storia, letterariamente labirintica e così carica di rischi per ogni artista che se ne innamora, che voglia dipingerla,descriverla, ambientando vicende personali nei suoi scenari. Da secoli incombono su di lei le proiezioni fantasmatiche di generazioni
di sognatori e poeti. Il vagabondare degli spiriti decadenti non le da pace. Esteti corrotti si cullano nelle sue atmosfere fatiscenti. E nell'insieme è anche un repertorio di eleganti luoghi comuni. Perfino gli artisti da cavalletto impazziscono disorientati dalla sua volubilità metereologica. Una D'Arbela guardinga sa destreggiarsi e navigare con la sua scrittura fra queste molteplici contraddizioni e tentazioni d'estetismo ; esche avvelenate che la bellezza dissemina ovunque per far cadere in tentazione l'esteta ingenuo.
Torno a ribadire che inizio e fine del romanzo si saldano come in un anello magico. Fra questi estremi apparenti, gemelli del tempo, la figura paterna sintetizza mirabilmente un doppio nulla, fra cui scorre il tutto; l'esistenza multiforme e tentacolare si fa divenire. In questo intervallo metafisico. ma spazialmente reale, entrano in scena molteplici protagonisti, persino attori di film e tutti intrecciano le loro storie. Sui loro destini incombe il più longevo e crudele degli spettri : la seconda guerra mondiale, che sembra non finire mai. Il romanzo evidenzia bene il contrasto tra la città d'arte, fatta di quinte teatrali, summa della storia della bellezza e le sparatorie, i rastrellamenti e le deportazioni dei tedeschi, i mitragliamenti degli alleati, il caos e l'incertezza,la fame e lo sgomento quotidiano. Se paragoniamo alle nostre,le vite di certe generazioni,intrappolate da eventi storici nefasti, come un'epidemia o una guerra mondiale, viene da compatirle nel ricordo perchè indifese e in balia di molteplici calamità.
I comportamenti quotidiani dei personaggi che giocano un ruolo nel romanzo sembrano come numeri estratti a sorte dalla roulette che si combinano in ulteriori incognite. Anche i film proiettati nelle sale- che la prepotente vitalità delle gemelle divora come prede culturali - ci trasmettono delle tematiche disperanti. Il porto delle nebbie di Marcel Carnè ; Giorni perduti di Billy Wilder, Ossessione di Luchino Visconti, solo per citarne alcuni, sono film che già nei titoli presagiscono esiti drammatici.
E tuttavia ,nonostante la caduta della speranza di pace, le direttrici degli eventi storici muovono verso un esito ottimale. L'interminabile conflitto si avvia verso una conclusione positiva col profilarsi della vittoria degli alleati sulle forze dell' Asse. Le coscienze a lungo assopite dalla tirannide si risvegliano e con esse una nuova cultura democratica. Assistiamo a un susseguirsi di iniziative artistiche : pittori , musicisti, scrittori, danno vita a nuove manifestazioni culturali, celebrando la pace con la colomba di Picasso . Con primordiale curiosità intellettuale, entu siasmo adolescenziale, entrano in scena le gemelle " principesse ",che hanno sostituito i tre principi di Serendipity . E sono loro due a fare scoperte, invece dei loro tre predecessori di Ceylon. Come essi facevano un tempo, le gemelle non cercano, ma trovano !
Il romanzo mantiene il pregio stilistico di scegliere una trama libera che si realizza nel raccontare con un ritmo di jazz, di un be- bop.
Eppure il titolo di questo Bildungroman , timone del romanzo, sembra ritornare anche alla fine del libro, come un'accorata invocazione/ interrogativo che ci coglie impreparati e sgomenti : Ma siete proprio voi ?

VALENTINO ZEICHEN - Poeta-


UNA LETTERA DI VALERIA A SERENA PER "SIETE PROPRIO VERI"

GEMELLITUDINE- Non si può prescindere da questa chiave simbiotica di esperienza condivisa esaminando le opere di Serena e della gemella Valeria pittrice ( scomparsa nel 2002) cresciute insieme e insieme evolute nell’arte. Non si può esulare dai loro codici di comunicazione scaturiti dall’ infanzia e dall’adolescenza, come conferma questa lettera.


Roma, dicembre 2000

Cara Serena
ho letto il tuo libro , anzi ho accettato il passaggio che mi hai offerto
attraverso i mezzi più moderni ed attuali per rivivere gli anni della giovinezza,dell'adolescenza a Venezia. Mi hai offerto un computer (che io non so usare) per entrare in realtà in una gondola,per salire sui ponti,per traghettare a Burano e al Lido e godere di un 'atmosfera senza tempo fissata nella memoria di una vita. Hai saputo riavvicinarmi ai volti della venezia del '40 e del '50 ai sogni immensi,alle immense paure di una Venezia buia per la guerra ma che lottava con tutta l'acqua delle sue vene per restare libera creativa,dispensatrice di sogni. Mi hai ripresentato uomini grandi e uomini semplici, persone che sono state il nostro tessuto vitale,il nostro humus. Hai fatto evocare i paesaggi dove si svolgevano le nostre ore decisive e i nostri anni. E' passato quasi un secolo e Venezia è il nostro grande romanzo. Non basterebbero le pagine per dire tutto: eventi,cuori, cervelli, azioni,delusioni, speranze. Sono stata bene nel tuo viaggio. Si sono accese tante luci e mi sono anche commossa per la soluzione "futura"; l'arrivo dei genitori ormai morti e il loro convivere con vivi e morti in una kermesse ideale. E sento che c'è un perchè nel loro ritorno,molto profondo, detto e non detto. Grazie della presentazione, è un bel passaporto per la mia mostra e il miglior augurio. Tu hai capito- e dato un ordine a mille scintillanti frammenti. Chi ha vissuto a Venezia sentirà poesia leggendoti. Anche chi non la conosce ancora. Valeria



GIUDIZI DEI LETTORI

Il tuo libro mi e' molto piaciuto: e' proprio vero, lieve, gioioso e persino enigmatico, soprattutto alla fine deve chi non c'e' piu' e' proprio lui che sogna.L'onirico come realta'? (Luigia Pagnin, Venezia)

Il libro mi e' piaciuto molto per la leggerezza e per la nostalgia di cui e' intriso; e , cosa strana racconta aspetti importanti della tua vita che si e' svolta come la mia in tre importanti capitoli: vivere, riflettere, e ricordare. (Carlo Amat, Cagliari)

E' un libro bellissimo,agile,raffinato,fondato su una struttura originale, e sempre sostenuto da una cronaca rapida e intensa che insegue il lettore e non gli permette di fermarsi finchè non è giunto alla fine ! ( Neuro Bonifazi )

Un universo femminile improntato, si, verso il progresso sociale, ma soprattutto verso la prorpia fede e coscienza interiore. ...Il padre è per Serena la persona valida da stimare perchè non vede scissioni tra il corpo e lo spirito, ma soprattutto e colui che vede l'uomo al di là dei vestiti, delle apparenze" ( Nicoletta Ricci,Cisterna, Roma )



MESSAGGI DALLO SCHERMO (1986)
Dopo la “Nuova ondata”degli anni sessanta era sceso il silenzio sul cinema cecoslovacco. Eppure molti autori della generazione della nova vlna come Jires, Chytilova,Menzel, Jakubisko, Lipsky continuavano a lavorare e ad essi si erano affiancati nuovi autori nella fiction e nel cinema di animazione. Come Trancik,Hanak,Drha,Soukup,Svankmajer,Barta. Il libro guida il lettore alla scoperta di questa produzione degli anni ottanta e dei suoi messaggi diretti e indiretti che riflettono le inquietudini della società ceca e slovacca e del mondo contemporaneo










CERCARE ALTRE MANI (1979)

Pensieri di poesia,parole e versi : sogno,dissacrazione,speranza sull’uomo e sulla vita. ( Romolo Liberale)





DA CERCARE ALTRE MANI

La Disuguaglianza

Fermati non si passa
qual è la parola d’ordine?
non si passa perché sei bambino
non si passa perché sei donna
perche’ sei nero perché sei giallo
perché sei povero
diverso.
E’ vietato l’ingresso
dimmi la tua religione
dimmi il tuo partito.
Il tuo sesso è stabilito?
E poi ancora
non puoi entrare
perché sei vecchio
vedi la vita stessa
ti è proibita
e perduto è il tuo
lasciapassare.




VARIAZIONI ( 1995)


Nella poesia di Serena il verso conosce approdi dolenti e oasi serene: più gli uni che le altre perchè questo è lo scenario in cui l’umanità consuma se stessa.( Romolo Liberale )






DA VARIAZIONI

TV a colori

Seduti
davanti al video
seduti
il padre e la madre
sbriciolano nel colore
la loro crollata identità

Seduti davanti al video
seduti
si sciolgono nel colore
della dimenticanza
mangiucchiando
frutta secca.
Di là
nella stanza accanto
Di là continente lontano
Dalla finestra aperta
il figlio vola giù
con un breve
salto.





NUOVOCINEMA POLACCO - Da WAJDA E ZANUSSI AL QUARTO CINEMA (1981)

Il libro è una panoramica sulla generazione di cineasti polacchi degli anni settanta che punta l’obbiettivo sui meccanismi del potere,sulla ricerca della verità,sulla riaffermazione di principi morali e ideali nella sfera del cittadino e dell’uomo, sulla dimensione femminile. Temi e figure che travagliano anche l’intero mondo contemporaneo.





SERENISSIMA (1999)
Venezia è luogo di nascita spirituale di Serena, è il topos d’acqua,il liquido amniotico della sua identità finalmente ritrovata. La città dell’infanzia e della giovinezza viene rivisitata,scandagliata nei fondali inconsci. Il poeta interroga la sfinge liquida e nella poesia esprime tutto il proprio struggimento per il passato che si fa contemporaneo fantasma nel riaffiorare ( Valentino Zeichen)





DA SERENISSIMA

A Venezia
so come si entra
Ho le chiavi
Meglio di notte
per ritrovarla con pace assoluta
nella mente
le Fughe di Bach
stanza per stanza
aprono le porte:
Mia vecchia casa
Venezia…
Ondulazioni di prue,tagli di timoni
liquido tremolio,arte d’acqua
palazzi a testa in giù,vaporose facciate,
concerti di silenzio di sciacquio e di passi
camminare…e pensare






I MAESTRI DI PRAGA (1989)

Il film animato ceco e slovacco,degli anni 80 , attraverso le opere di 21 registi di grande qualità, dinamismo e pensiero. Il connotato comune di tanti stili e tecniche diverse è la ricerca simultanea dell’idea e dell’arte.


domenica 1 novembre 2009

POESIE RACCONTI RECENSIONI FOTOGRAFIE TESTI MUSICA OPEN FORUM POETICO


RECENSIONI


LIBERAZIONE di SANDOR MARAI
di Serena D'Arbela






(foto "The clockwork pen" di mfda)


POESIE

IL PENNINO (1) A VALERIA

Se prendo il vecchio pennino che odora di trementina tu risorgi con un vago sorriso china sul foglio da disegno la freccia pungente riscrive i viaggi strabilianti e il vivido passaggio tra noi della fantasia si aprono i varchi dei segni si accendono colori a china si abbattono distanze insormontabili e penetri nell’anima colombo viaggiatore col tuo breve sussurro -Andrà bene..



IL PENNINO (2) A VALERIA

Dopo la morte

l’amore

non sa più

rianimare

la persona perduta

Eppure

il vecchio pennino

dei tuoi disegni

freccia aguzza

che sa di trementina

mi ridesta il sentore

di luoghi, fantasie,

di magici cifrari

Sorgono le figure

vissute

dai nostri occhi

galoppano

come cavalli celesti

intrecciate e remote

su paesaggi inarcati

da ricordi leggeri

come ballerini ..

Oh pennino che crei

questa fata morgana

di pochi istanti

quest’ onda musicale

piena e silente

come lei fatta d’aria

come scavi ed affondi

nel mio cuore

disegnato a china !



EUCALIPTI


Voglio andare nella zona riposta
tra vento ed eucalipti
la mano nella foglia
nella mano le labbra
incantesimo nella rete
in un corpo i corpi
la lontananza
nella spina che punge il cuore
Sogno di braccia che volano
nel passato tiepido e remoto
Piedi d’uccello su foglie grigioverdi
passi morbidi come cuscini.



SOGNO


Nella poesia del sogno
i suoi occhi come vulcani
Gioia bollente cellule laviche
nel corpo cocci di vetro
che scottano e tagliano
Il suo sguardo magnetico
Mi incolla
Mi getta nell’eden di fuoco
fiocchi di brace
per ardere….




RACCONTI

POLVERE D'UOMO (racconto del 1946)

Vengo-disse il facchino a una voce che lo chiamava-"Vengo"Si mosse nel buio tra il fumo soffocante. Caricò i bagagli di una signora sul carretto verde.Poi si mise a spingere. Spingeva lentamente,sentendo i passi della signora dietro quasi come un incubo.Erano passi che neppure il fumo arrestava. Aveva sonno.Si era appena sdraiato sulla panchina di pietra e s'era dovuto alzare. Era subito accorso così per abitudine di accorrere quando qualcuno lo chiamava. Aveva il basco grigio ,messo in una maniera servile e pietosa,servile e minacciosa. Sembrava dire "Ti obbedi sco,ma domani se sarai in pericolo,io ti lascerò morire,signora delle valigie." Seguì il cammino con passo incerto verso i lumi delle sale d'aspetto. - Devo cambiare treno " disse la signora. " Per x ? " Per x , facchino. Il carretto verde girò per i sottopassaggi fra la gente ,vaga nel buio. I bagagli si muovevano e tremavano,i bagagli della signora. Avevano etichette lucenti, lucenti,lucenti. Grandi alberghi- pensò con un sorriso il facchino.E aggiunse dentro di sè-" E io mai." Sì,mai,mai,mai,l'eterno problema. Guardò la signora. "Più in fretta" fece lei. Il facchino si mise a correre e rovesciò il carretto.I bagagli si ammonticchiarono con un tonfo.Le ruote girarono a vuoto,nell'aria.Erano qualcosa di strano davanti ai treni grigi. Il facchino si sedette per terra con un sorriso ebete. "Mi rialzi la roba, su,su ,cosa le ci vuole ?- gridava la signora. Si alzò lasciando penzolare le braccia. Il carretto verde ripartì tra la folla. " Permesso" "Permesso". Una vecchina zoppicante si spostò. "Più presto! Non vorrà che io perda il treno"-disse la signora. "Ora corro! disse il facchino. Il sonno gli era completamente passato. Non pensava a nulla,ora.Il rumore della folla e il colore della folla si confondevano intorno a lui e lo facevano sorridere. Il carretto pesava? A questa domanda avrebbe saputo rispondere solo : " E'da vent'anni che servo." Giunsero al vagone. "Qui dentro facchino!" Caricò lentamente le valigie.Gli cadde il berretto e lo raccolse. " Ecco fatto signora." "Tre franchi vero? " Di più signora,almeno cinque!" " Per quel pezzetto di strada? Ma lei scherza! Bastano tre! "Allora facciamo quattro,signora,quattro franchi." "Bastano tre.Quattro è troppo,facchino!" Coi tre franchi, il facchino andò a stendersi sulla panchina di pietra, E si addormentò.


IL VIAGGIO IN CITTA' (racconto del 1946)

Avevano parlato da lungo tempo di un viaggio in città. Ne avevano piena l'anima e i loro stessi sguardi.Io al contrario non avrei voluto.Era comodo continuare quella vecchia vita strascicata,sempre uguale.Era comodo per me che avevo bisogno soprattutto di silenzio. Stavamo in campagna, sepolti nel nulla. Ma il viaggio era parso attraente a mio fratello e alla moglie di lui.Mi ci sottomisi. Partimmo in un pomeriggio d'inverno, buio e nuvoloso. Montammo in treno per la prima volta e tutti erano emozionati. Vigliacchi, cercarono solo di nascondere la loro emozione.Era freddo. Mio padre volle dire delle spiritosaggini.Era felice.Io no.Pensavo con rancore che là si sarebbe turbata la nostra vita.Là saremmo corsi pieni di speranza e saremmo stati delusi.Il mio viso scuro senza felicità irritava papa' e i miei compagni di viaggio.Poi cadde la pioggia. La vedevo scendere trasparente.Chiesi di uscire nel corridoio.Due uomini erano in piedi,vicino a me.Mi guardavano. Quando fui davanti al finestrino che si poteva aprire e chiudere a piacere,tutto il mio spirito si rischiarò.Sorrisi. Sollevai le braccia.Il vetro rimase a metà con le gocce che lo solcavano a precipizio. Immersi la testa nella pioggia chiudendo gli occhi. Compresi che la felicità è una cosa molto strana e difficile.Tu la cerchi e lei fugge,poi viene quando ti sei fermata. Vidi le campagne ammollarsi d'acqua.Poi una suora mi battè sulla spalla.Era spaventata perchè la mia testa si inzuppava sempre più.I capelli si erano scompigliati . L'aria li sollevò due o tre volte.Poi più. Ringraziai la suora. Per tutto il viaggio la sua mano restò posata su di me.Questo mi fece rabbia e paura. Spaventai ancor più la donna volgendo il mio viso pallido verso di lei.Ed ella infatti fuggì.Poi ritornò. Ma ci fosse o non ci fosse,delle dita stringevano il mio cappotto,strette. Improvvisamente mi voltai e disse " Io non porterò mai quel velo" L'uomo più vicino a me si accostò e mi pregò di ripetere. Col rumore del treno non si capiva niente. Pensai.Ci sono cose che non diresti una seconda volta.Ti escono dalla bocca e te ne liberi.Quando se ne sono uscite non le hai più. E non le vuoi riconoscere.Perciò non risposi.L’uomo sorrise impacciato. Tentavo di essere indifferente anche se tutto ciò era nuovo per me,ma il mio occhio si torceva temerario in qua e in là e mi si leggeva in volto la meraviglia.Nello scompartimento parlavano animati di qualche cosa. Papà rideva.I denti d’oro mi si confondevano col sorriso del vicino e questo era un peccato, un vero peccato! Tacevo.Nel mio silenzio c’era un sentimento mai provato di beatitudine. Il cielo si oscurava.Saremmo arrivati di notte in città. Questo pensiero diventava un incubo e cresceva.Vedevo le botteghe illuminate,delle case nere , un senso di movimento, di vita. Ma ora la città sarebbe stata diversa da come me l'immaginavo. Forse sarebbe stata fredda e silenziosa: una città di ombre.E di questo avevo paura. Dei fuochi in lontananza si accesero e spensero, a me parve ,con un sospiro. Il treno correva, mangiava la strada,rumoreggiava sui ponti di ferro,si buttava nel buio con un grido audace. Io seguivo le mani di un viaggiatore,senza capire perchè. Ma lo dovevo fare.Egli aprì una scatola,una scatolina d'oro massiccio e l'avvicinò a me sempre di più ,fino a che l'ebbi sotto gli occhi.Mi offriva delle sigarette.Ed io non sapevo fumare.Accettai e l'uomo sorrise e non mi disse perchè si era rivolto a me, così.Tutti furono buoni con me quel giorno. Accesi la sigaretta e fumavo male con stizza.Sentivo in bocca il sapore salato del tabacco.Fumavo male.Me lo dicevano gli occhi meravigliati dei vicini,poi il ridere a scatti di un ragazzo nervoso. Ma io guardavo le stelle e quella notte così cupa.C'erano poche stelle.Le nubi le coprivano come immensi scialli infioccati. Io guardavo quelle poche e avrei voluto morire. Così giungemmo in città. Ci vennero incontro scure tettoie, un fumo nero e delle grida. Fu come entrare in una scatola.Lo stesso senso di soffocazione,lo stesso brusio sordo,le stesse tenebre.Chiusi il finestrino.Ora la gente si affollava alle uscite.Mi sbattevano le valigie sulle gambe e mi pestavano i piedi.Li guardavo.Avevo terrore di loro,della folla. Erano come tante belve:tutti agitati,tutti avevano fretta. Io no. Aspettavo che papà uscisse,che uscisse mio fratello e la moglie di lui. Scendemmo tutti insieme dandoci la mano, per non perderci. Vagammo per la città sui marciapiedi umidi di pioggia.Ombre ridevano fra i lumi abbaglianti. Donne e uomini camminavano senza più fretta sulle rive. Io avevo voglia di spingere qualcuno,di farlo scivolare nel fiume,di annientare la sua felicità. Perchè ora ero di nuovo scontenta .Ma di che cosa dunque ? Di quell'avvicendarsi di luci,di quelle risate ,di quelle ombre a cui ero estranea e che avrebbero potuto cacciarmi dalla loro città. Sì, avrebbero potuto. Noi avevamo viaggiato in un treno buio ,partiti da una campagna più che deserta per giungere finalmente in città e ora potevano dirci:"Andatevene, siete degli intrusi!"Piangevo.Tutto ciò non era nostro.Non ci avevamo vissuto e perciò era nuovo e di altri. Le mie lacrime calavano calde fino alla bocca e io le mangiavo.La passeggiata durava ancora. Per tutto l'oro del mondo non avrei detto a papà "Andiamo a casa!" E poi in quale casa ?In un albergo pieno di altre ombre, dove si rideva, dove ci calcolavano forestieri? Per tutto l'oro del mondo no!' Poi la mia voce si mischiò a delle vecchie preghiere dimenticate. Un’ombra grande mi prese per mano e mi trascinò lontano: in un mare. Ebbi periodi di tristezza: poi mi sottomisi. Dovevo. Ormai fra mio fratello e sua moglie non esisteva alcun legame. Si guardavano a lungo come offesi ,poi ridevano con un'ira sempre più nascosta.Nei loro sguardi lontani brillavano parole segrete. Il loro mondo si era spaccato in due. Papà viveva immerso in un sogno.Credeva anch'egli di amare la città. Quando tentai di parlargli ,di far scoppiare infine quel mucchio di pensieri dolorosi che aveva ammassato, Egli disse che tutto andava benissimo e non l'avrebbe interrotto.Ma che cosa,che cosa? Egli sognava.Poi si svegliò. E una sera scoppiò la lite.Cupa paurosa,densa di frasi dette e non dette. Mio fratello,mio padre,mia cognata.Le loro voci s'incrociavano oblique,a un tratto estranee,nemiche,si colpivano e colpivano bene. Tacevo.Capii che non dovevo intromettermi,che avrei pianto,che avrei perdonato.Ci volevano invece parole forti,avrebbero rinfrescato l'aria. La notte splendeva buia,scurissima,con lampi gialli di fuochi.La finestra aperta fondeva il suo cielo con quello della stanza. Non udii molti gridi, né pianti ma papà cupo e accigliato attendeva segnali, ignoti per pronunciare una parola : sarebbe stata l'ultima. Dalla mia sedia spagliata torcevo gli angoli del vestito e fremevo. La vita era difficile,inverosimil mente brutta in quel momento .Gli attimi andavano e venivano e il silenzio di alcuni intervalli tormentosi ne accentuava la gravità.Una stanchezza nuova invadeva le mie membra ,una voglia improvvisa di gridare e insieme un desiderio che tutto finisse. Spesso piccole cose annientano quelle grandi.Fu l’orologio che fermò la lite. Tacquero tutti nell’udire il rintocco di un’ora qualunque. Si guardarono a lungo come per dirsi addio.Li seguivo piena d’ansia. Ancora qualche parola non più dura, poi voci rotte di pianto,voci bambine voci che chiedevano felicità.Riconobbi in mezzo a loro la mia e come in sogno.Si era alzato un po' di vento.Le piccole tende gonfie,dondolavano verso di noi.Si udiva un sussurrio di foglie cadenti. Pure,in una notte così bella, ebbero il coraggio di non perdonare. Suonò infallibile una condanna e subito passi frettolosi calcarono le scale.Subito bauli vuoti e casse dimenticate inghiottirono i nostri poveri abiti .E subito furono spente le luci e si parlò sottovoce. ---- Venne un pallido mattino nebbioso. Riguardai la città con gli occhi di chi parte.Tutto era chiuso.La stessa vita dormiva.Guardai con rancore le vie grigie.Erano innocue,come povere cose di un lontano ieri. E le ombre ostili riposavano e tutta la città dormiva. E il treno giungeva fischiando sotto le tettoie. Noi tornavamo a capo chino come dopo un peccato.Eravamo in tre. Mio padre,mio fratello ed io.Ci tenevamo per mano,vicini.Le nostre parole si quietarono.La città vile,lontana fu dimenticata.Rimase su di essa una macchia che non potevamo cancellare.


RECENSIONI

"LA NOTTE" DI ELIE WIESEL


Le parole di Elie Wiesel, Premio Nobel per la Pace 1986, tratte dal suo breve libro La Notte (1) sono più forti e terribili delle immagini di un film. L’autore parla in prima persona, testimone
quindicenne degli orrori concentrazionari voluti da Hitler. Egli non dimenticherà mai i piccoli volti di bambini i cui corpi aveva visto trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Né quel silenzio notturno che gli tolse per l’eternità il desiderio di vivere. Il suo scritto è una sintesi vivente dell’Olocausto e fa della parola un’incarnazione dei fatti. Nelle sue fasi preparatorie di incredulità e in quelle della paura, dell’annichilimento, del calvario giornaliero, dei sussulti di impossibile rivolta e della caduta nel fatalismo, nel degrado della volontà e dei principi morali.
Sintesi di uno shock progressivo che spezza la crescita armonica di un adolescente. Riassunto della demolizione graduale e definitiva della persona umana. In questo senso il lager hitleriano ha qualcosa di unico rispetto a tutti i campi di prigionia passati. Il suo fine criminale è preciso, mirato alla distruzione fisica della psiche dell’uomo, bollato come “diverso” prima ancora della sua riduzione in cenere. Fame, sete, percosse, lavoro massacrante, sadiche torture, alienazione dello spazio e del tempo sono armi sicure per minare ed annientare i comandi di un cervello umano, per sbriciolarne il bagaglio di princìpi e gli impulsi affettivi più sacri. I luoghi infernali di Birkenau, Auschwitz, Buna, dove passa il ragazzo,sono tappe rappresentative verso il nulla. Le difese si sgretolano, scadono sempre più dilivello e si riducono all’istinto di sopravvivenza.Padri e figli arriveranno ad essere estranei, addirittura nemici, per una crostadi pane, come ci mostrano alcune vicende dell’ultima parte del libro che stentano adessere recepite nella loro atrocità. Le eccezioni sono prodigi di eroismo.Seguiamo alcuni momenti culminanti del racconto. “Credetemi! – aveva supplicato nel 1942l’ebreo straccione di Sighet, piccola città della Transilvania, patria di Wiesel – Questaè la sorte che vi attende! Preparatevi!” Deportato per primo con altri “stranieri”dal paese aveva conosciuto la ferocia della Gestapo ed era l’unico sopravvissuto alle prime stragi. Nessuno della Comunità lo prese sul serio, pensarono che fosse impazzito. Invece nella primavera del ’44 nella tranquilla cittadina, con l’arrivo dei tedeschi, comincia l’escalation della persecuzione. Per gli ebrei, prima la stella gialla obbligatoria, poi gli editti di divieto ad entrare nei caffè e ristoranti, poi la reclusione in due ghetti. E ancora la gente continua ad illudersi con cieche speranze. La guerra sta per concludersi. Forse il peggio è finito. Ma ad un certo punto, secondo Wiesel, il cortile divenne come una camera operatoria. Tutti erano in attesa del terribile verdettoche non tardò ad arrivare. La deportazione! Il protagonista, mescolato alla folla dei partenti, coi loro inutili sacchi e bagagli, ha un’amara sensazione: che, celati dietro le imposte, i concittadini, amici di ieri, non vedono l’ora di saccheggiare le loro case abbandonate. Il che purtroppo vvenne. L’antisemitismo nazista ebbe migliaia di complici silenziosi. Le immagini dei vagoni per il trasporto sono solo l’inizio dell’incubo. Ottanta persone stipate in ogni carro. Sete, paura, casi di follia. Le scene sono tormentose. A Birkenau il suono di certi ordini evoca visioni angosciose, emozioni insopportabili. Come l’alternativa “sinistra o destra” posta davanti ai deportati, ignari delle due diverse destinazioni, prigionia o crematorio. Per l’adolescente, il comando “Uomini a sinistra! Donne a destra!” pronunciato con indifferenza dal graduato delle SS, avrà un significato preciso, un taglio netto ed efferato: perdere per sempre la mamma e la sorellina. Tutto fa parte dell’inferno. La parola d’ordine di Auschwitz Lavorate o finirete nel camino! Il numero inciso sul braccio con un ago. La ricerca dei denti d’oro e successiva estrazione dalla bocca dei malcapitati. Le percosse ed estorsioni dei capi blocco e dei capisquadra. Il rogo che attende. Eliezel ha un pensiero fisso come un chiodo nella mente, in mezzo alle peggiori sventure. Proteggere il padre, per non perderlo. È una volontà conservata in pieno esaurimento delle forze, perfino in mezzo ai pericoli di una marcia estenuante, la marcia forzata del campo nelle retrovie, dopo l’evacuazione di Auschwitz. Quel trasferimento micidiale, all’arrivo imminente dei russi, ha un solo scopo, eliminare i prigionieri, secondo la volontà di Hitler. Durante un allarme il ragazzo ha smarrito il genitore, ormai scheletrico, divenuto un peso morto. Il proposito a lungo difeso cederà per un attimo a un lampo di egoismo, pensare solo a se stesso e alla propria sopravvivenza. E poi subito egli si vergogna di sé. Momenti indimenticabili colpiscono il lettore con la loro carica drammatica.L’esecuzione del ragazzino chiamato dai detenuti “l’angelo dagli occhi tristi” impiccato insieme a due adulti dopo un atto di sabotaggio. “Dov’è il buon Dio? Dov’è?” domanda qualcuno, mentre il ragazzo non parla, non supplica, tarda a morire. Le preghiere dei reclusi l’ultimo dell’anno. Diecimila uomini venuti ad assistere alla funzione solenne di Rosh Hashanà, presenti anche i capiblocco, i kapò, i funzionari della morte. Sia benedetto il nome dell’Eterno! – dice l’officiante – e migliaia di bocche di uomini ridotti a schiavi ripetono la benedizione. Eliezel, un tempo così pio e studioso del Talmud, ora ha perso la fede e nell’intimo rinnega Dio con rabbia. Tutte le sue fibre si ribellano. Perché benedirlo? Per i bambini bruciati nelle fosse? Per i crematori? Per tutte quelle fabbriche di morte? Per non aver impedito tutto ciò ? La corsa dei prigionieri verso Buchenwald, in mezzo alla neve. Chiunque si fermi sarà colpito a morte. Correre! Correre! Per 70 chilometri. Dieci giorni e dieci notti da incubo. Finché dormire sulla neve appare come un morbido sogno di riposo e il gelido tappeto, un piumino. L’accozzaglia di prigionieri sovrapposti, morti e vivi accumulati nel capannone di Gleiwitz, tappa del lungo cammino. La lotta per sopravvivere e farsi largo sotto il peso di un cadavere o di un vivo che ti schiaccia. Succhiare la neve sulla schiena del vicino per sedare la sete, poiché è vietato piegarsi per raccoglierla.“Qui non c'è padre che tenga, né fratello, né amico. Qui ognuno vive e muore per sé, solo”. Ecco lo spietato consiglio del responsabile del blocco ad Eliezel: non dare più la sua razione di pane e la zuppa al padre morente. Ho riaperto in questi giorni sempre con la stessa partecipe sofferenza illibro di Wiesel che François Mauriac definisce una testimonianza singolare, unica dopo tante altre. È un’opera “da comodino”, da rileggere per non dimenticare. Andrebbe ristampato,diffuso nei licei malgrado la crudezza del suo contenuto, per scuotere da ogni superficiale torpore,soprattutto oggi che ancora qualcuno ha il coraggio o la malafede di negare la tragedia dei lager.
Note (1) Editrice La Giuntina, Firenze, 2000.









TESTI


Un testo teatrale dedicato al linguaggio dei critici d’arte “spiazzisti” :

INAUGURAZIONE ( ARIA NOVA)

Ambientazione: Galleria NUOVI SPADINI. Una serie di cornici vuote in ordine da definire e in un ambiente qualsiasi da definire, anche all’aperto.

Personaggi: Gallerista - Pittrice Torti - Critico Milleventi - Critico Di Liercio - Pubblico.


MILLEVENTI

Gentile pubblico ,il vespertorio critico che ANNA SANTA TORTI ha. tumulato in tutti i vostri ani da. lunga data amanti della spittura e pieni di sconti, e pisultati. è un crescertorio sodante…

GALLERISTA

Perfetto…

MILLEVENTI

Da Arzavoli a. Pichiacchi , da Sulmercio a Sporolini,da Verculi a Paratente,e poi Cassarottan. e Fanuccio, è stato un soldolar di ortiche paraboliche savorevoli e stropondide.—

TORTI

Eh si....


MILLEVENTI

E' stata tambureggiata nell'oberosso trauma pidorico della TORTI la ventralità, della luce disossata dal ventriglio del buio. Obere e traumi che puedon riassumersi nella sacralità di una concezione bancale.

GALLERISTA

Bancale...


MILLEVENTI

Bancalità dello spingere dell' artista come sunto di volo,come decollo e spoliazzo nell'orizzonte bancarente, altalenando tra i piscillanti valori attuali del bancamercato futilfurtaiolo dell'ARTE..


DI LIERCIO (facendosi avanti)

Scusate...potrei inserire nella stupenda nebbia della presentazione del mio collega, qualche osservazione modesta ,personale...?

GALLERISTA

Un momento... chi è lei.. scusi,

DI LIERCIO

Sono il critico DI LIERCIO, faccio capo e capolino alla galleria NUOVI PUNTELLI.


GALLERISTA

Ah,conosco. Prego..prego. Ma la. presentazione non mi pare conclusa..

MILLE VENTI

Infatti. Ma dica,dica pure, Di Liercio. E' moderniore interrompere, (risata)

DI LIERCIO

Non me ne voglia Milleventi, ma ecco il mio pensiero. La pittura della TORTA... pardon... TORTI è arida e di poco sapore. Quasi vuota direi... Perciò ha bisogno di un sugo fuori campo,un sugo neocritico di molta sostanza per ottenere ima minestra cromatica signorile che funga da tetto verbale.

MILLEVENTI

E allora?

DI LIERCIO

Con ciò non. voglio disconoscere I' incinzione emozionale - la bislunga impastatura di sbavate sentimentali che si compongono in rapide cucchiaiate d'artista sulla tela. Esse però non si rapprendono e si volatilizzano.

IL GALLERISTA

Sia più chiaro...

DI LIERCIO

Ecco,tutto ciò ,sì, è bancarente ma in un certo senso nel quadro di una bancalità stagnante e di ripiego , di secondo piede....

IL GALLERISTA Vorrai dire di primo piede...

DI LIERCIO
Una bancalità di resti e di carenze estive ove la ventralità della luce non è data dal disosso del ventriglio ma dai pizzichi alla noce moscata della didascal-successione critica " out-situata"...

MILLEVENTI

Di Lercio! Non solo mi hai tolto la parola,ma la tua è una disquisizione retro! E' congelata è "dietro"! E' culare caro Di Lercio,è culare, di fronte al mio visocolo futuricco !

DI LIERCIO

Cioè?

MILLEVENTI

Se non erro la bancalità. è il risulto della liquidità, del disosso del ventriglio del buio dell'asporto del buio debitorio per l'acquisto di un ristrutto di luce traforato di pieno creditorio ( indica un quadro )

DI LIERCIO

Milleventi mi permetti di replicare? Solo due parole ?

MILLEVENTI •
Ancora! E va bene,mi hai interrotto,ti ho squisitamente fatto squisire e squittire. Ora non stai esagerando ?


DI LIERCIO

Non esagero,no perchè il concetto di ventriglio del buio va, se permetti, assolutamente chiarito.

( con un dito puntato sul vuoto dei quadri ) Ma quale liquidità nella TORTA, pardon, TORTI - e non s'offenda l’artista – siamo sempre nella teoria…Ma quale liquidità ,,dico,se la pittura della nostra è arida …


TORTI (sussurra)

Carogna!

MILLEVENTI

Lo dici tu !

DI LIERCIO
cosi arida da necessitare un intruglio di supporto,una montatura con la frusta necritica fuori quadro o fuori campo che dir si voglia. Senza il puntello della neofrusta, il. composto resta secco,anzi non si vede.

GALLERISTA

Dottor Di Lercio sia gentile,abbia pazienza, lasci finire.

DI LIERCIO

Non m'interrompa ! Io difendo la bancalità degli attivi e non la mera bancalità passiva, la fiscalpittura a cui. purtroppo non sembra sfuggire la Torti…

MILLEVENTI

Eh no! Caspio! Questo è veramente troppo ! E'una squisizione valoristica così retrodatata e pelosa, di malevolenza che mi puzza di parzialità,anzi di invidia,

DI LIERCIO

Boh!

MILLEVENTI

Eh si caro Di Lercio ho detto puzza,Potevo dire veleno. Non è possibile che un critico della tua esperienza possa dimenticare il dato pictoatmosferico nella sua duplice accezione di qualità della luce sciolta nel buco del buio e di ventriglio scuro disossato. Per cosi dire liberato dalle sue scorie volumetriche e tuttavia ricotto nell'emozione.

DI LIERCIO

Svaporato piuttosto...



MILLEVENTI

Perché questa - e torno alla mia presentazione - solo questa è la grande invenzione della TORTI : la LUX poetica vacua,ovvero il trasudo nel trasogno del ventriglio svuotato e lavorato con impeto, quasi fecale... Ciò implica la perdizione dell'identità stercorea. Ti basta caro Di Lercio? Ti basta ?


DI LIERCIO

Non mi basta.

MILLEVENTI

Allora riprendiamo il discorso e rivediamo la. luce e il ventriglio. Caspio,non è arida la pittura di ANNA SANTA, è solo sciolta o meglio è presciolta. Dirò di più è LUX fatta precedere dalla burrificazione visionaria dell' immaginario il quale è sentimento donnato, curviforme,morbido e torpido,dannato dal fruscio cromatico degli zuccheri... Giulebbe della veterofemmmilità.


DI LIERCIO

(sbotta) Ma che stai a di' !

TORTI (sussurra)

Che pittanata!

MILLEVENTI

Oh sì, la pizione dell'artista è anzitutto un reale pasticcio regale,precotto e già pinto nel sedimento lasciato dal mondo. Nel tappezzo inumidito dei suoi affetti primari. Già! Si! Ma materia aspirata è questa,vanescente! Trasognata sensibilità,,memoria acquosa di bassi fondi sicuri ove i piccoli piedi dell'infanzia fanno un rumore nullo..

DI LIERCIO

Stai bluffando...

IL GALLERISTA

Ma stia zitto.

MILLEVENTI

Signori .miei... cosi arriviamo alla luce interiore alla. LUX intestina,, autentica comunicante con l'empito culaceo che non sbocca.,ma, rinviene nella memoriografia come dramma fognatico. Stemperato nel profumo cromatico,di impalpabile trasfigurazione aromatica.

DI LIERCIO

II vuoto non ha aromi!

IL GALLERISTA

Ancora?


MILLEVENTI

Dicevo.... o un autentico filtraggio. Qui il ventriglio disossato irradia scintille stellari e solari, il buco solidificato e assurto a simbolo si frantuma nello scoppiettio di impressioni plurali .Non naturalistiche - eh no!, siamo nel duemila! " ma avveniristiche ,conflluenti nel presente bancario,in un celato tripudio cifrato. .( applausi,congratulazioni della gente)

TORTI

Caro Maestro. Ora non so che dire... La ringrazio di avermi difesa dall' attacco del dottor non so chi. Certo costui non entrerà mai. nel mio microuniverso bancale,come non è stato capace di accedervi con le parole offensive.

DI LIERCIO

Ma no,no davvero! Non è così…Insisto , no!

TORTI

Mi è piaciuto invece il suo accenno all'elemento maxidonnale che è cosi chiaro nella mia pittura. Ha centrato. Io mi oriento da mane a. sera con l'estro culinario e i capricci pepistici. La prego formalmente qui davanti al pubblico di scegliere uno dei miei dipinti. come testimonianza della stima che ho per lei e per le sue critiche profonde..

GALLERISTA

Un momento signora. Stop! I suoi quadri, sono già tutti venduti.

TORTI

Oh! Che bello! Davvero? Ma allora, nel mio studio... (guardando il gallerista) Andremo a prenderne degli altri...

MILLEVENTI

C'è tempo,.. C'è tempo... Con calma.

DI LIERCIO

Ma io potrei dire ancora una parola,carissimi ? E' che sono stato frainteso,assolutamente frainteso... carissima. O forse nell'impeto del dibattito ho dato adito a qualche equivoco. Me ne scuso. Me ne scuso. Io volevo andare a fondo a proposito del ventriglio. E' questione troppo importante in sede estetica. Lungi da me il proposito di offendere la Signora.

TORTI

Siamo persone educate. E molto pazienti...

DI LIERCIO

Davvero io volevo dire che La signora Torti è una grande pittrice.,anche malgrado la stasi bancale .E’ grande perché ama,sì,ama e travalica il momento stercale con la stretta amatoriale.E’ cosi che blocca con uno scatto visionario all’ ultimo minuto la fine dispersoria della materia sulla tela..

TORTI

Però la mia pittura non è amatoriale caro critico.

DI LIERCIO

Ecco si e no. No in linea generale. Si nel momento limite. Che è poi salvataggio. E’ quel guizzo antefìnale di passione dilettantesca che frena come un auriga i destrieri schizzanti smalti fecali..Li blocca per sempre sulla soglia dello sterco possibile, al di qua del muro della pittura bancale e li fissa in un arido e severo,anzi trasognato salottino d'attesa Mi segue signora Torta... Torti?

TORTI

Mah... mica tanto...

DI LIERCIO

Ma si..La sua pittura è accessibile al pubblico,vendibile, leggera. Ecco, finalmente, ariosa. Così i quadri hanno in fondo il coraggio di sorridere pallidamente ai fruitori. Le cifre lo dimostrano e me ne rallegro con la Signora. Tutto venduto! Tutto già venduto!
Dunque arida e vuota ma di un vacuum a suo modo originalissimo se ci riferiamo a quel dialogare birichino tra i depositi d’artista sulla tela e la critofrusta in orgasmo.


TORTI

E va bene non ho capito un acca ma il discorso fila! La perdono!
In fondo è come aver avuto due presentazioni. Una buona. Una cattiva. Naturalmente la mia preferenza è per Milleventi.
Perché vede Di Lercio questi termini amatoriale e dilettantesco sono negativi,ingiuriosi se la Storia dell’arte non m’inganna..

DI LIERCIO

Ma no creda! Amatoriale è amore, ars amandi e dilettantesco è l’ impulso trasognato e onirico del diletto ! Diletto e amore sono il vero contenuto della pittura donnale ,così come la luce non è altro che la seconda faccia del buco del ventriglio! Non capisce la fluidità di ogni tesi critica ?

TORTI

Eh sì,ne abbiamo avuto un esempio..

DI LIERCIO

Ogni volta siamo alle prese con la post-temporalità. E’ una danza linguale con sempre nuovi stili natatori. Lei capisce quale improba fatica è quella di cavar carbone dalle oscure miniere dei talenti fossili?


MILLEVENTI

Caro Di Lercio, hai. fatto un voltafaccia sorprendente Ti faccio le mie congratulazioni. Ma dove vuoi arrivare?

DI LIERCIO

Voltafaccia.? Direi una curva stretta..Mi sono reso conto,caro Milleventi che panta rei tutto scorre e anch'io scorro. Ora sono da capo. Davvero, il guizzo della mia controcritica non andava contro la TORTI ,bensì VERSO. Era il bifronte anelito alla mia assunzione nella matrice bancale. L'aspirazione repressa ad essere accolto nel materno novero assegnario dei suoi pochi ma attenti fautori, dando prova di me nel combattimento.

MILLEVENTI

Assunzione eh.. dunque.. assunzione. Me l'immaginavo...

TORTI

Ne ero certa carissimo!

DI LIERCIO

Col suo consenso cara Anna Santa mi occuperò di un lato inedito della sua invenzione pittorica...naturalmente senza intralciare il percorso del collega ( MILLEVENTI fa un inchino ) . Ecco avrei pensato alle relazioni bacchiche fra tela e cornice, tra vuoto e pieno. ARTE D'ARIA- Ariarte.. Le piace ? Sarò come un aviatore,volerò tra le tentazioni ariartiche e il pubblico.

IL GALLERISTA

Mi permetto di ricordarle che la galleria Nuovi Spadini ha già un suo critico uffìciale,il prof Milleventi Quanto ad altri rapporti... ( rivolto alla pittrice ) Sta a lei decidere.


TORTI

Ma certo! C'è posto,c'è posto per tutti I Uno va, uno viene. Nella mia squadra ce n'è di posto ! Anche sul libro paga! Benvenuto Di Lercio ! ARTE D'ARIA si, si,ariarte !
Mormorio tra il pubblico.

UNO TRA IL PUBBLICO

Hai capito cosa hanno detto?

UN ALTRO

Mah boh! Io non ci ho capito niente! Dicevano le stesse cose incomprensibili…


UN ALTRO ( si avvicina a un quadro e tocca con la mano nel vuoto)

Qui non c’è niente.E’ proprio Aria!


UN ALTRO TRA IL PUBBLICO( infilandone un altro)

Ha detto bene il critico! Aria!


UN ALTRO

Aria sì ma quotata sul mercato! Che sia Aria nuova? Peccato siano tutti già venduti!

TORTI ( afferrando un suo quadro e mostrandolo al pubblico)

Già ! ARIA NOVA ! e’ un bel titolo!


UNO SPAZIO DEDICATO A VALERIA D'ARBELA



















OPEN FORUM SPAZIO POETICO


Uno spazio aperto a tutti i poeti che desiderano pubblicare sul blog testi poetici.


1 .....
LA POESIA E’ UNA POSSIBILE CURA
NON LENISCE IL DOLORE
CI AVVICINA TANTO DA TOCCARCI
CI FARA’ PIANGERE O SORRIDERE
TENERE A BADA I PENSIERI
CHE SONO “ UOMINI ARMATI”
TALVOLTA SENZA DESIDERI ..

(Marina Ferrante)


2
NEGLI OCCHI


GUARDIAMOCI NEGLI OCCHI
GUARDIAMOCI PER FAVORE
NEGLI OCCHI
CONTINUIAMO PER FAVORE
A GUARDARCI NEGLI OCCHI
LA MORSA DI UNO SGUARDO
SICURO CALMO FORTE
D’AMORE
CHE NON INDIETREGGIA
UNA STRETTA VIRATA
A RITORNO CIRCOLARE
CHE NON CEDE
ALL’ OSSIDO AMARO DI
MALCONTENTI AVARI
UN ANELLO DI LUCI
COME FRONDE FREMENTI
GLI OCCHI PLANETARI
EMETTONO ONDE
INTERMITTENTI D’ AMORE
SOLIDI CUBI DI PASSIONE SINCERA
D’ INTELLIGENZA VERA
SI AFFACCIANO MORBIDI
BAGNATI DI EMOZIONI
GOCCIOLANTI PAROLE PURE
CHE ROTOLANO VIVE
CORAGGIOSE LIMPIDE
NON ABBANDONIAMOCI PER FAVORE
NON ABBANDONIAMOLI SOLI
GLI OCCHI
SEMPLICEMENTE A MEDITARE LA TRISTEZZA
SONO SPAZI
CHE PUOI MISURARE
SOLO CON ALTRI OCCHI
INTENSI
INTENTI A LEGARSI SLEGARSI
AD AMMICCARE CON UN COLPO DI CIGLIO
GLI OCCHI
PER FAVORE.

(Marina Ferrante)


DUE (dedicata a Serena e Primo)

Lui,sguardo acuto, ricco di vita, vissuto da subito tra dovere e volontà mano nell'altra

lei, curiosità mai paga, mente che stimola che la ricerca è emozione e crede e coinvolge

loro, un incontro, un'intesa, una vita, comprendere
e poi riaverne indietro in comprensione

due, uno più uno, talento e onestà, coerenza ed azzardo, arguzia e pazienza: loro, due.

(Giovanni Villarà)


DI PIU' (ricordo di Valeria)

Esplori bambina quel piccolo mondo e sempre lo espandi un poco di più

ti è accanto te l'altra, uguale di te diversa però un poco di più

trascorre e si muove da sempre in laguna e il fiume e la vita un poco di più

ti sposi con l'arte e tra crisi ami e cerchi altro amore, un poco di più

(Giovanni Villarà)










Foglie:Chanson d'automne di Paul Verlaine
fotografie di Serena D'Arbela
video waves di marfeda -